Si chiama “skill mismatch” ed è la distanza che separa le richieste del mercato del lavoro e le competenze reali delle risorse. In Italia ci sono pochi laureati Stem – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – e ancora troppo pochi diplomati da Its – Istituti tecnici superiori post diploma, sebbene questi forniscano le chiavi per trovare velocemente un’occupazione.
Le imprese italiane fanno fatica a ricoprire il 40% delle posizioni lavorative rivolte a sviluppatori software, esperti di applicazioni e tecnici programmatori, i 3 profili più richiesti, con una stima per il prossimo decennio che crescerà fino al milione di posti di lavoro.
Come arginare questo fenomeno? Quanto la ripresa del Paese può partire dall’ecosistema dell’innovazione romano? Ne abbiamo parlato con Alberto Luna, consigliere di amministrazione di Talent Garden e membro del comitato organizzatore dell’edizione europea della Maker Faire, che subito ha voluto puntare l’attenzione sullo scenario: “Roma ha dei problemi importanti che riguardano anche l’innovazione, è una città molto complessa, che fa fatica a spingere i processi che hanno bisogno di accelerazione, bisogna creare un ecosistema più competitivo”.
L’analisi dell’esperto continua con dei dati interessanti, relativi ad una ricerca della rivista ‘Il Mulino’ che ha raccontato di una “Roma, unica capitale europea che non traina il Pil del Paese, anzi lo tira giù”. In sostanza, secondo Luna, c’è un “problema di complessità di movimento – la città è molto grande – che si riflette in un problema di complessità culturale: tanta politica e aziende di Stato, poca borghesia produttiva vera, scarso spirito di impresa culturale che, invece, ritroviamo maggiormente nelle città del nord”. Fin qui un quadro per nulla rassicurante.
“Sì, questo è l’aspetto meno positivo della questione, però c’è anche l’altro lato della medaglia”, ci dice Luna, che nel suo approccio ha voluto prima evidenziare il problema, per poi tracciare una possibile soluzione: “Esistono tante realtà che stanno investendo nella città, per l’innovazione e sull’ innovazione. Noi come Talent Garden di Roma siamo uno de punti di riferimento, con i 22 campus europei che abbiamo, ma anche Roma3 che ha il programma Dock3 per startup, che funziona benissimo, Luiss EnLabs, per citarne alcuni”. Secondo Alberto Luna, il vero tema è quello dell’individualismo italico, “l’Italia ha un problema digitale, e culturale, è un paese individualista che fa fatica a fare sistema, lavorare insieme è complesso, è un po’ la cultura degli italiani è così, ma ci sono tante premesse buone”.
La soluzione quindi potrebbe venire da un nuovo concetto, che coniughi l’idea di aziende innovative, di formazione digitale con un’ottica più aperta. “L’invito è quello di ragionare in ottica europea. Quando qualcuno entra a far parte della nostra community, si interfaccia con omologhi, professionisti del digitale di tutta Europa, ci sono una serie di stimoli che creiamo perché il giovane startupper di Roma trovi anche in backup professionisti stranieri che si leghino alla loro esperienza, li aiutiamo ad uscire dal regionalismo”.
Ma la spinta concreta, perché sia efficace a tutti i livelli, dovrebbe partire dalle istituzioni, secondo Luna, che fa un esempio concreto: “La Francia ha messo l’innovazione al centro dell’agenda politica. Questo significa che se io ho un’idea imprenditoriale, simile a quella di un mio omologo francese, lui riuscirà probabilmente a trovare un milione di finanziamento in sei mesi, noi forse 100 k, se siamo fortunati. Il nostro è un sistema molto lento anche rispetto ai finanziamenti privati, c’è poca propensione al rischio d’impresa”.
In questo duplice approccio, che caratterizza l’analisi di Luna, ecco però l’aspetto positivo su cui puntare: “L’Italia ha sempre dimostrato un genio creativo unico, che ha segnato la differenza in tanti settori: Renzo Rosso che da Molvena si reinventa i jeans e li vende in America, o l’idea di Technogym”, che da Cesena diventa brand mondiale e sviluppa soluzioni per gli astronauti con la Nasa. Aggiunge Luna: “Noi italiani abbiamo quel Dna, e anche a Roma ce l’abbiamo, nella Roma storica c’è tanta innovazione, oggi forse bloccata un po’ dalle sovrastrutture” .
E c’è anche tanta domanda di competenza digitale, lo abbiamo detto, data analysis, cybersecurity, ma il sistema di formazione tradizionale va in un’altra direzione, come se non fosse in grado di intercettare il cambiamento – che deve essere soprattutto culturale – e aggiunge Luna: “Il settore privato è poco incentivato, e i ragazzi, dal canto loro, si limitano alla solita laurea, non sono spinti e non vengono informati sui numeri e sulle tendenze del mercato del lavoro”.
La scuola è uno dei grandi temi di questo paese, aggiunge Alberto Luna, “è ferma a dei sistemi di tanti anni fa, noi siamo una realtà privata ma dialoghiamo molto con le istituzioni, e ci siamo resi conto che è molto complicato portare innovazione”. Il nostro Paese è come orientato fondamentalmente a sviluppare competenze regionali, sistemi molto tradizionali che fanno fatica a scardinare, la burocrazia, che in Italia è tanta, e non trova un linguaggio per attrarre e comunicare con realtà innovative.
“Noi lavoriamo, ad esempio, con il governo Danese per il reinserimento degli over 50 nel mondo del lavoro”. Una fascia d’età che, anche in Italia, è molto skillata sulle “dinamiche classiche del lavoro”, non ha ancora maturato le condizioni per la pensione, e potrebbe ancora dare molto in termini di produttività, a fronte di un processo di re-skylling, di formazione che fornisca loro gli strumenti per rispondere in maniera adeguata alle nuove esigenze del mercato.
“Lavorare con il Governo, in Italia, è molto complicato. Qui però noi curiamo delle Academy digitali per conto di tante grandi aziende private, lavorare col pubblico è difficile”, anche se ormai il concetto di ‘life long learning’, della formazione continua, è diffuso e riconosciuto come utile ai fini di un costante apporto attivo al mondo del lavoro. “Lo abbiamo sottolineato più volte, e abbiamo realizzato un report con Tortuga, che si focalizza proprio sul concetto di “formazione necessaria per la formazione del futuro”.
In Italia c’è poi anche il problema del reperimento dei fondi, abbiamo chiesto ad Alberto Luna se pensa che i fondi europei siano una risorsa per l’innovazione italiana, e la risposta non poteva che essere sì, forse perché “anche lì ci vuole preparazione per dialogare con l’Europa, ci sono fondi europei che finanziano biotech, cyber, certo”. Il quesito però Luna lo rilegge in una chiave più ampia, “mi domando come mai l’Europa non sia riuscita a esprimere un grande player dell’innovazione, che possa competere con quelli che dominano il mercato mondiale, penso a Google, Meta, Amazon, sulle tecnologie e per l’innovazione dipendiamo dall’America. Stiamo perdendo diversi ‘treni’, quello delle batterie elettriche, ad esempio, da noi c’è problema di politica industriale molto forte”.
Gli strumenti digitali devono essere messi al servizio della comunità, “bisogna aiutare le imprese ad innovarsi rapidamente, ed in questo anche la leva del debito può risultare che è una leva di crescita se utilizzata con criterio”.
Ripartire quindi si può, e Roma lo fa investendo anche in aree in qualche modo vocate all’innovazione. È il caso di Ostiense, dove, annuncia Luna: “Verrà lanciato anche il progetto ‘Road’- Rome Advanced District, il più grande Distretto di Innovazione della Capitale promosso da Eni, che si sviluppa attorno all’ex Gazometro, simbolo dell’archeologia industriale urbana che si sta trasformando in un polo dell’innovazione e della sostenibilità”. All’interno dell’area già si trovano Eni 2050 Lab, spazio espositivo permanente dei progetti e delle tecnologie di Eni, Joule, la Scuola di Eni per l’Impresa e l’acceleratore di start up ZERO – The Clean Tech Acceleator.
Titti Nicoletti