Possiamo essere seduti in un caffè di Londra, e sorseggiare un espresso all’italiana, servito da un cameriere algerino, ascoltando quella canzone dei Beach Boys che fa: ‘I wish they could be California girls’. Oppure in un pub di Nuova Delhi, dove si mangia cibo libanese al ritmo di una band filippina, in locali arredati con una testa d’ippopotamo imbalsamata e un poster d’epoca che annuncia il concerto di Grand Ole Opry in una scuola superiore di Douglas, in Georgia. Ci sono giapponesi che vanno pazzi per il flamenco. (Archivio National Geographic)
La globalizzazione mondiale, l’avvento di nuovi media e tecnologie interattive, l’eliminazione delle distanze spaziali e temporali, dei cambiamenti epocali degli ultimi decenni, compresa una pandemia che invece di fermare sta spingendo le persone verso una nuova globalizzazione, hanno prodotto dei cambiamenti epocali nella società che conducono ad un nuovo nomadismo, sia reale che virtuale.
Si sta perciò delineando una società di viaggiatori cosmopoliti, che compiono viaggi nel mondo reale così come in quello virtuale verso una società realmente globale.
L’uomo ha sempre viaggiato, ce lo insegna la storia, ma mai come in questa epoca, si registra una mobilità di individui massiccia. L’industrialismo prima, le nuove tecnologie adesso sono da spartiacque di un nomadismo tradizionale verso un neo nomadismo moderno, che giunge al famoso “villaggio globale” di McLuhan, una perfetta metafora per indicare come l’evoluzione dei mezzi di comunicazione ha reso il mondo “piccolo”, a forma di villaggio appunto in cui le distanze tra le varie parti del mondo o tra persone sconosciute si sono completamente azzerate.
“La stanzialità – osserva Jacques Attali, intellettuale francese già consigliere economico del presidente Mitterrand – non è che una breve parentesi nella storia umana. Durante l’essenziale della sua avventura, l’uomo è stato plasmato dal nomadismo e sta ridiventando viaggiatore”.
Michel Maffesoli, già nel 2000, definiva “nomadismo glocale” quella nuova erranza, quel movimento che ha la matrice di riferimento non più nel territorio fisico, ma che trova nuove istanze nello spazio del sapere, della conoscenza, così come nei flussi cosmopoliti del sistema-mondo.
I mass media, i social network e, più in generale, la rete hanno annullato le distanze, hanno permesso di far apparire il lontano vicino e di far conoscere le diverse culture ed è questa la nuova modernità, una modernità non solo dematerializzata, ma desocializzata e deterritorializzata, all’uomo non è definito solo dal suo luogo di appartenenza ma da quanto più ha inglobato, non solo in senso fisico ma anche virtuale, territori a lui sconosciuti.
L’uomo moderno dunque è un uomo alla perenne ricerca di qualcosa in un’epoca fluttuante come quella che stiamo vivendo, un’epoca liquida, instabile, flessibile e in continua evoluzione e Roma non può non farsi trovare pronta, non può restare indietro. La Capitale deve essere sempre più connessa con il mondo, deve finalmente diventare la città globale che la sua storia insegna, aperta e cosmopolita, agile e attraente da un punto di vista innovativo, tecnologico e territoriale e la Rome Future Week® sarà sicuramente un’occasione per parlare anche di questo.