Abbiamo bisogno di storie scritte dall’AI? Le riflessioni di Mateusz Miroslaw Lis

Più o meno in questi stessi giorni dell’anno scorso si stava mettendo in opera la produzione di “Il Diario di Sisifo”, esordio mondiale alla sceneggiatura per un modello generativo di Intelligenza Artificiale.

La pellicola, la cui distribuzione ora recentemente avviata, è il risultato di una danza sperimentale tra arte audiovisiva e tecnica informatica che trova la sua genesi già anni prima dell’attuale esplosione mediatica del tema ma che tuttavia, confrontata con gli attuali sviluppi dei LLM (Large Language Models), a distanza di appena 365 giorni, non fa più così tanto clamore.

L’esperienza, che ha in parte contribuito alla fondazione di SophIA, laboratorio di IA per l’audiovisivo, non può che aprire molteplici interrogativi sull’effettiva utilità di queste tecnologie nei domini di produzione artistica, questione che si è prontamente rivelata di cruciale importanza per tutta l’industria cinematografica, testimone l’attuale sciopero che tiene congelata tutta Hollywood.

Non è un caso quindi se le maggiori istituzioni nel panorama dell’intrattenimento (non ultimo l’HoldenAI StoryLab in partnership con Rai Cinema) stanno avviando nuove sperimentazioni non solo con l’obiettivo di abbattere i costi produttivi ma anche di giungere a strumenti e know-how specifici per il potenziamento della creatività delle singole professioni artistiche.

Nel loro specifico, l’impiego dei LLM avrebbe come primissima conseguenza l’estremo incremento della quantità di bozze che un singolo autore sarebbe capace di produrre con metodi tradizionali, con la successiva possibilità di interrogare questi modelli per eventuali suggerimenti e correzioni, il tutto da un semplice portatile.

Questa democratizzazione dell’output narrativo tuttavia, vista con gli occhi del critico, può facilmente implicare fenomeni inflazionari ed un vero e proprio inquinamento mediatico. Considerate poi le non lontane conseguenze della proliferazione di contenuti generati da IA, è corretto, anzi imperativo, interrogarsi sull’effettiva necessità di applicare i modelli generativi alla produzione narrativa.

Una cosa che mi piace ripetere quando (sempre più spesso) mi viene chiesto se scrittori, sceneggiatori, registi e attori perderanno il lavoro è la seguente: la diffusione delle catene di fast food degli anni 60’ non ha debellato la ristorazione tradizionale, molto spesso infatti si cerca qualcosa di più del mero prodotto, si paga per un’esperienza, una visione.

Allo stesso modo anche nei domini dell’intrattenimento potremmo vedere un fenomeno affine, con contenuti di produzione totalmente autonoma e artificiale a produzioni dal contenuto interamente di genesi umana, passando per diverse gradazioni di utilizzo delle molteplici tecnologie di IA che stanno via via emergendo.

Tra tutti gli utilizzi possibili, è chiaro che quello che vede l’IA protagonista della creazione artistica o motore dell’industria dell’intrattenimento probabilmente non è il più stimolante e nemmeno il più utile se messo a confronto con le attuali questioni critiche in ambiti medici, ingegneristici, economici e sociali.

Altresì è importante però ricordare quanto l’intrattenimento e nello specifico la figura del cantastorie abbia allietato, se non direttamente alimentato, lo spirito umano per tutta la sua evoluzione sociale, ed è forse proprio questa figura, o meglio, la primitiva necessità di attribuire un volto, un autore ad ogni storia, la vera necessità da rivalutare.

Il neo-luddismo emergente nei confronti dell’IA, quando declinato alle professioni artistiche, non è quindi mosso da grandi narrazioni sull’impossibilità di questi sistemi di effettuare correttamente il loro lavoro, quanto dalla massima e concretissima possibilità (sta già accadendo!) che raccontino storie molto meglio ed in quantità superiori rispetto all’attuale popolazione di sceneggiatori e scrittori odierni.

La rivendicazione della superiorità morale dell’autore umano è una vana ed egoistica tendenza a protezione di un titolo più che a conservazione di un arte.

Abbiamo bisogno di storie scritte da IA?

Personalmente, credo proprio di sì. In un mondo che di secondo in secondo si fa sempre più labirintico e multidimensionale, la possibilità di esplorare prospettive e visioni in ordini di grandezza superiori è una condizione necessaria alla comprensione di questa nostra nuova realtà.

Quello che invece resta messo in discussione è l’effettiva irriproducibilità del fenomeno artistico-creativo, con una chiara zona di intersezione tra ingegno umano e artificiale.

Forse la creatività è meno speciale di quanto professato finora.

Mateusz Miroslaw Lis

Produttore/regista cinematografico e ricercatore presso SophIA, laboratorio di Intelligenza Artificiale e audiovisivo

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