15 - 21 Settembre 2025, Roma

L’Open Innovation per il futuro di Roma

Un ecosistema basato sulla co-innovazione per pensare e sperimentare nuove soluzioni, prodotti e servizi ad alto impatto economico, sociale e ambientale. Ne ha certamente bisogno Roma per essere sempre più sostenibile e garantirsi un presente e futuro migliore. Come concretamente si può fare? Ne parlo in questo articolo a quattro mani con Luciano De Propris, Head of Open Innovation and Sustainability ELIS.

Luciano, puoi presentarti in questa Community?

50% ingegnere, 50% designer, sicuramente appassionato ed esperto di Industria, Innovazione e Sostenibilità. Sono sempre stato interessato all’imprenditorialità, ho studiato ingegneria per passione. Ricercatore dal 2001 al 2006 nel campo delle tecnologie innovative per l’industria e l’ambiente. Dopo l’attività manageriale per grandi aziende dal 2017 sono il responsabile Open Innovation e Sostenibilità per ELIS Innovation HUB. Convinto di poter cambiare il mondo, rimango sempre curioso e appassionato di mettere insieme persone con l’obiettivo di costruire nuovi soluzioni per un mondo sempre più complesso… Ho approfondito le metodologie Lean, Agile e di Social Innovation sempre con l’obiettivo di perseguire un giusto equilibrio nel mondo degli affari così come nella vita privata. Lo studio per me è un modo di essere e si riassume in due sigle Learning by Doing e Long Life Learning. Durante il mio viaggio sono stato accompagnato prima da un dottorato e poi da numerosi corsi di specializzazione. Autore di numerose pubblicazioni tecnico-scientifiche e divulgative in ambito Innovazione, Energia e Sostenibilità. Mi piacciono le cose semplici, belle e ben funzionanti. Non vedo l’ora di cucinare, correre e stare con la mia famiglia e i miei amici. Amo il basket e lo sci ma soprattutto la montagna d’estate e d’inverno. Il lavoro per me è un modo per esprimere la mia voglia di fare e contribuire a un mondo migliore.

Quali sono i maggiori bisogni di innovazione che tu riesci a vedere e raccogliere, dal bellissimo panorama offerto dal programma di ELIS “OPEN ITALY”, che gestisci da diversi anni? Le grandi Corporate in questo momento cosa cercano? E le Piccole e Medie Imprese invece?

Ti rispondo con una breve premessa su “OPEN ITALY” per contestualizzare la mia esperienza: si tratta di una Community aperta, inclusiva e collaborativa, composta da grandi e più piccole Imprese, Enti Non Profit, Fondazioni di Origine Bancaria, Startup, Centri di Ricerca e Università e che ha l’obiettivo di pensare e sperimentare nuove soluzioni, prodotti e servizi ad alto impatto economico, sociale e ambientale.

Un programma incentrato sulla co-innovazione, che parte e si basa, appunto, sui reali bisogni delle aziende, messi al centro. Rispondendo puntualmente alla tua domanda, noi abbiamo deciso di clusterizzare le principali esigenze raccolte e che, dal nostro punto di vista, attualmente sono le seguenti:

  • Operational Excellence & Asset Management 
  • Customer Centricity & New Sales Channels 
  • Open Finance, Digital Payments & Smart Contracts
  • Safety Management & Digital Health
  • Sustainability, Decarbonization & Circular Economy
  • Privacy & Cybersecurity
  • Digital HR & New Ways of Working
  • Urban Intelligence & New Mobility.

Le grandi Corporate stanno esplorando alcuni sentieri di frontiera, applicandoli nelle strutture e nelle logiche aziendali, ad esempio l’intelligenza artificiale e la sicurezza informatica. Oltre a questo, tra le dimensioni più hard – quindi legati agli aspetti Tech -, cercano la fidelizzazione e i contatti sempre più difficili e sofisticati con i clienti. Rispetto alle dimensioni soft, invece, le loro sfide sembrano essere prevalentemente incentrate sull’ingaggio delle proprie persone: attrarle prima, valorizzarle e farle stare bene nel corso dell’esperienza lavorativa. Trasversale, la grande necessità di transizione sostenibile, che passa ad esempio per il Clin Tech (“tecnologie pulite”) e la decarbonizzazione.

Tra le piccole e medie imprese (PMI) la digitalizzazione non è ancora così comune; molte sono alle prese con le automazioni, con la transizione dei cicli di produzione. Quindi, sinteticamente, la digitalizzazione è un need primario. Poi, anche qui l’attrazione delle persone, non facili da portare a bordo nella competizione con le grandi città e competitor in tutto il mondo in grado di garantire un’offerta difficilmente eguagliabile per certe posizioni. Un’altra sfida è lo stesso ingresso nella cultura dell’innovazione.

Come l’Open Innovation può sostenere lo sviluppo di una città come Roma?

Il successo del nostra programma, giunto oggi alla sua ottava edizione, dimostra a mio avviso l’importanza della collaborazione tra settori diversi per lo sviluppo di risposte innovative alle sfide attuali.La specificità, la settorialità e i confini limitano la creatività e non permettono di vedere e rispondere al meglio ai tanti cambiamenti che viviamo. L’Open Innovation, quindi, può offrire un grande valore a Roma, attraverso il suo approccio all’innovazione collaborativa che permette di stringere nuovi rapporti con diversi stakeholders per scambiare le reciproche competenze e avendo come obiettivo quello di “Shared Value” e di maggiore competitività. Molto spesso, infatti, non basta il confronto “peer-to-peer”. C’è bisogno dello scambio intergenerazionale, dalla collaborazione con soggetti esterni all’azienda, come centri di ricerca, realtà innovative, Piccole Medie Imprese (PMI), università e singoli individui, ecc. In termini di performance e di impatto, l’Open Innovation può garantire una crescita maggiore e, contemporaneamente, per più parti.

Sarebbe bellissimo che una città come Roma si potesse dotare di una struttura di innovazione come ha fatto ad esempio Milano, che ha coinvolto diversi esperti a costituire una sorta di “Advisor Board” per testare modelli nuovi. A Roma avremmo un grandissimo laboratorio a spazio aperto, dove sperimentare davvero una bella varietà di soluzioni in tanti campi.

Credo che per fare sempre di più per la Città, favorendo queste logiche di Open Innovation, sia indispensabile un maggiore sviluppo e promozione di una più estesa rete di partnership tra tutti gli stakeholder oggi in crescita e operanti su Roma. Come si sta sviluppando con la crescita degli operatori, Roma potrebbe avere un potenziale immenso, se ci fosse una maggiore unione delle parti (es. fondi, acceleratori, Università, ecc.): tutti insieme si può fare un grande passo in avanti. Mentre lo dico ho in testa un esempio di successo: il progetto “ROAD – Rome Advanced District”. Qui più aziende si sono messe insieme, negli spazi del Complesso del Gazometro di Roma Ostiense, riconvertito oggi a nuovo fulcro di conoscenza e ricerca e come aggregatore di innovatori, e hanno ragionato sulle loro grandi sfide, l’hanno fatto costruendo una rete di valore, facendo massa critica e promuovendo insieme nuove soluzioni per la decarbonizzazione, l’economia circolare, agritech e water management, fonti rinnovabili e mobilità sostenibile, efficienza energetica e smart cities.

Quali consigli daresti a Startup che sognano di proporre soluzioni e servizi per una grande città come la nostra (perché siamo entrambi autentici “romani de Roma”)?

Prima di tutto osservare e ascoltare molto bene il mercato, intercettando e comprendendo efficacemente quelli che sono i veri e importanti bisogni per la Città. Molte volte, purtroppo, si parte al contrario, dall’innamoramento della soluzione.

Va dedicata tanta attenzione alla validazione, è necessario testare spesso le soluzioni. L’innovazione fine a se stessa non serve, l’innovazione di valore è tale solo se risolve problemi sentiti e se non risponde a mode passeggere. Ecco perché sconsiglio ad esempio proposte troppo rapide; spesso viviamo fenomeni veloci che in poco tempo svaniscono ed è fondamentale saper distinguere il cambiamento destinato a restare dai “fuochi di paglia”.

Poi suggerisco di sviluppare delle soluzioni che siano effettivamente resilienti sia per una Corporate che per una Startup, non trascurando l’importanza di trovare una chiave di accesso comune: un’impresa non così facile, considerando che OPEN ITALY nasce proprio da questo, dalla difficoltà di dialogo tra le parti – Corporate e Startup – per abitudini, processi e struttura per loro natura distanti.

Infine, consiglio di imparare a lavorare tra di loro perché molto spesso per problemi complessi servono soluzioni complesse e in questo caso non si può agire da soli.

Migliorare i servizi e rendere la Capitale sempre più innovativa e sostenibile: dove dovremmo guardare per farci ispirare? 

Guardare da per tutto e non copiare da nessuno. Questo per me è il mantra. Noi dovremmo imparare ad essere sempre di più uno spazio in grado di attrarre. Ci sono città che lo stanno facendo bene e vanno guardate e utilizzate come laboratori (penso a esempio a Barcellona e Berlino, ecosistemi ricchi che stanno attraendo soggetti innovativi, in grado di creare grande valore).

Il nostro modello, però, dovremmo crearlo noi, farlo all’italiana, puntando su quella base fortissima che potrebbe sembrare banale o scontata ma che altri non hanno: persone, competenze, cultura e bellezza. Questi sono a mio avviso l’asset su cui basare il nostro modello.

Secondo te chi appartiene al mondo Startup perché dovrebbe partecipare a settembre a questa prima manifestazione dedicata al futuro nella Capitale?

Eventi come questo mettono in relazione e permettono di vedere cosa c’è sul mercato, facendo venire voglia di intraprendere: sono posti dove incontrarsi e fare accadere cose. Io non mancherò e sono sempre felice di conoscere nuove realtà da portare a bordo per far crescere il nostro ecosistema! #InnovationTogether #InnovationToImpact

Valentina Marini e Luciano De Propris

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