
Con un titolo così, non possiamo che accogliere con grande interesse formativo e informativo la prima indagine in Italia dedicata alla povertà mestruale.
“enCICLOpedia. Le cose che dovresti sapere sulla giustizia mestruale” è il primo rapporto in Italia che analizza, con dovizia di particolari, la condizione in cui vivono le persone con mestruazioni al giorno d’oggi.
La rilevazione curata da WeWorld con Ipsos su un campione di 1.400 persone tra i 16 e i 60 anni si unisce all’analisi condotta da Equonomics e School of Gender Economics di Unitelma Sapienza.
Cosa si intende per povertà mestruale?
La povertà mestruale è un problema globale che colpisce molte persone con ciclo mestruale che, per varie ragioni, non hanno accesso ai prodotti mestruali, all’acqua e a spazi idonei alla gestione delle mestruazioni.
Non si tratta però solo di una mera questione economica: si trovano in povertà mestruale anche le persone che hanno scarso accesso alle informazioni sulla gestione del proprio ciclo mestruale, che non sono libere di poter gestire il proprio corpo, che sono vittime di tabù e stereotipi sull’argomento, che modificano in maniera sostanziale il proprio stile di vita a causa delle mestruazioni saltando giorni di scuola o lavoro, non praticando sport o non riuscendo ad uscire di casa, e che vivono ogni giorno un processo di sottovalutazione e svilimento dei propri sintomi (il cosiddetto medical gasligthing, tra le principali cause di ritardo diagnostico di patologie come l’endometriosi).
I principali dati dell’indagine enCICLOpedia
I dati dell’indagine mostrano un quadro preoccupante: in Italia, quasi 1 persona su 6 dichiara di non poter acquistare prodotti mestruali.
Mediamente, le persone con mestruazioni perdono 6,2 giorni di scuola e 5,6 giorni di lavoro a causa delle mestruazioni e del dolore associato, preferendo rinunciare ad andare a scuola o a lavoro per poter meglio gestire la propria salute.
Tra le motivazioni più citate per tali rinunce, emerge la difficoltà ad avere accesso a bagni dotati di presidi igienici sufficienti alla gestione delle mestruazioni. Ma non parliamo di assorbenti, piuttosto di spazi privati adeguati, di carta igienica, di sapone, di acqua.
Se pensiamo a quante scuole italiane non hanno la carta igienica o il sapone nei bagni, possiamo renderci conto della difficoltà di poter gestire adeguatamente le mestruazioni in un contesto così “povero” (appunto).
Nonostante la povertà mestruale interessi 1,9 miliardi di persone nel mondo e rappresenti una vera e propria emergenza in tema di salute, dai dati dell’indagine emerge che 1 uomo su 5 non ritiene professionale parlare di mestruazioni sul luogo di lavoro, e 2 su 5 non si trovano a proprio agio nel pronunciare le parole “mestruazioni” o “ciclo mestruale”.
La strada verso l’abbattimento dei tabù sulla salute mestruale è ancora molto lunga.
Ne parla Martina Albini, Coordinatrice Centro Ricerche di WeWorld, sottolineando come sia stato impossibile, su oltre 30 pubblicità analizzate riguardanti prodotti mestruali, “sentire esplicitamente la parola mestruazioni nell’annuncio. Si citano parole come “in quei giorni”, ma non viene mai citata la parola mestruazioni. Solo in una pubblicità recentissima possiamo sentirla esplicitamente pronunciata”.
Il Manifesto per la Giustizia Mestruale
Per promuovere una reale giustizia mestruale e abbattere le discriminazioni che affrontano ogni giorno le persone con mestruazioni, WeWorld ha lanciato un Manifesto in 6 passi:
- Promozione di un discorso aperto e non giudicante sul ciclo mestruale
- Abbattimento della Tampon Tax
- Distribuzione gratuita dei prodotti mestruali in tutti gli edifici pubblici
- Introduzione nelle scuole di percorsi di educazione alla sessualità e all’affettività, inclusa l’educazione mestruale
- Riconoscimento nei LEA di tutte le condizioni, patologie e disturbi legati al ciclo mestruale
- Istituzione del congedo mestruale
Quanto ci costerebbe il Congedo Mestruale?
In Italia non esiste alcuna legge che regoli il congedo mestruale, mentre in Europa alcuni Paesi come la Spagna lo hanno già introdotto da qualche anno, garantendo 3 giorni di congedo al mese per le persone con dismenorrea primaria (cioè con dolori mestruali invalidanti).
Per stimare il costo di questa misura, Azzurra Rinaldi, Direttrice della School of Gender Economics presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, Co-Founder e CFO Equonomics, parte dalla retribuzione media delle donne in età fertile in Italia (15.585 €, dati Istat): calcolando una perdita di 5,6 giorni di lavoro all’anno (dati Ipsos-WeWorld), l’ammontare dei costi non supera 1 miliardo di euro l’anno.
Una cifra assolutamente sostenibile anche se si decidesse di estendere il congedo mestruale a tutte le donne in età fertile, a prescindere dal dolore mestruale, con una spesa di 3,1 miliardi l’anno.
Tra gli stanziamenti minori dell’ultima legge di bilancio, 33 miliardi sono destinati ai rapporti dell’Italia con l’Europa e il resto del mondo, 17 miliardi per le politiche del lavoro, 17 miliardi per trasporti e mobilità.
Questo ci dà la misura di quanto il congedo mestruale non sia il frutto di una scelta economica, quanto piuttosto di una scelta culturale e di giustizia sociale.
“In uno Stato veramente interessato alla Giustizia Sociale” – sostiene Azzurra Rinaldi – “farsi carico del Congedo Mestruale è una misura indispensabile e che avrebbe un peso sulla manovra finanziaria dello 0,25%. Si tratta di scegliere a quali vulnerabilità dare supporto e porre rimedio.”
Il report enCICLOpedia è consultabile a questo link.
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di Valeria Leuti